Innovazione e vino, Enoforum 2013 e altre notizie.

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pensiero positivo

Ho deciso di essere meno negativa. Quindi quando dovrò dare o commentare una notizia buona e una cattiva comincerò d’ora in poi sempre da quella buona, per chiudere con quella cattiva e riservare solo a chi arriva fino in fondo tutto il mio sarcasmo, il mio cinismo e i pH bassissimi ai quali riesco talvolta ad arrivare. Ma negli attacchi solo cose da elogiare!

La settimana scorsa si è svolto a Arezzo un Congresso di tecnica e scienza della vigna e del vino molto speciale, si chiama Enoforum, ed è organizzato da Sive (Società Italiana di Viticoltura ed Enologia) e da Vinidea s.rl.

Enoforum non è un Convegno scientifico normale (di quelli ce ne sono diversi) perchè gli scienziati non vanno a presentare i loro lavori di ricerca ad altri scienziati e poi non ci sono solo gli scienziati che lavorano nelle Università e negli Istituti di Ricerca, ma anche quelli delle aziende, quelli che scrivono R&D sui biglietti da visita, e dei quali ho fatto parte anch’io, oppure ci sono gli scienziati dei Centri di Ricerca che lavorano con le aziende, e tutti parlano all’utilizzatore del prodotto delle loro ricerche e innovazioni: il produttore.

A Enoforum cioè si incontrano e si raccontano il mondo della ricerca, il mondo delle aziende fornitrici di prodotti e servizi e quello dei produttori di vino, tutti insieme a dimostrare che l’interazione tra ricerca e produzione esiste ed è possibile.

Non solo ma da alcuni anni gli organizzatori hanno istituito un premio (che quest’anno si è sdoppiato nel premio Nazionale e in quello Internazionale), intitolato a Giuseppe Versini, ricercatore trentino di fama internazionale scomparso qualche anno fa, nel quale sono i produttori che valutano i lavori degli scienziati sulla base del ritorno applicativo delle loro ricerche (naturalmente c’è anche un referee che ne giudica il valore scientifico).

Ad Enoforum negli anni gli scienziati hanno imparato a parlare il linguaggio della produzione e i tecnici a leggere nelle parole della scienza. Ad Enoforum sono nati contatti, conoscenze ed amicizie (e mi fermo qui perchè sarò anche una frequentarice storica di questa manifestazione ma di più non so).

Le prime edizioni (credo che la prima sia stata nel 1999) si svolgevano in un albergo a Pescara e le aziende di prodotti e servizi presentavano i risultati della loro ricerca in dei moduli autogestiti (assolutamente autogestiti perchè ci si portava anche il videoproiettore) nei quali però l’aspetto scientifico e tecnico dovevano rigorosamente prevalere su quello commerciale.

I moduli, che come adesso avvenivano in contemporanea, si ripetevano il giorno dopo (la cosa era piuttosto odiosa per i relatori ma molto comoda per chi non voleva perdersi nemmeno una relazione).

Poi Enoforum si è arricchito, sono arrivati i seminari dei relatori internazionali, la sessione poster e la partecipazione della ricerca pubblica nazionale e Internazionale con il Premio SIVE.

Quest’anno mi sono goduta Enforum da spettatore, senza l’ansia da prestazione del relatore. Le novità presentate ad Enoforum sono state tante e non riuscirò sicuramente ad esporle tutte qui. C’è la nuova proteina estratta dalla patata da usare come alternativa alle proteine animali allergeniche nella chiarifica dei vini. Ci sono le nuove tecnologie adatte alla produzione di vini senza solforosa, come il tappo sintetico prodotto in atmosfera protetta che limita l’accesso dell’ossigeno nella bottiglia, o il ceppo di lievito ottenuto con tecniche di miglioramento genetico per produrre meno solforosa. Ci sono le ricerche di soluzioni innovative più sostenibili in vigneto e in cantina, come gli ibridi resistenti alle malattie della vite che non necessitano di trattamenti con pesticidi e le tecniche “no residue” di sanificazione e igienizzazione della cantina con ozono.

E poi ci sono i nuovi mezzi di controllo come i nasi elettronici in grado di monitorare i processi di appassimento delle uve o le tecniche di analisi infrarosso applicate al lievito per rilevarne lo stato fisiologico, o i nuovi metodi di analisi sensoriale adatti anche a rilevare i gusti del consumatore.

Ci sono tutti i progetti sulla sostenibilità (Eco-Prowine, Tergeo, VIVA sono quelli presentati a Enoforum) destinati a creare una sensibilità misurabile e certificabile per produzioni più green e più sostenibili. E lo sforzo del Forum creato da Michele Manelli per farli dialogare tutti insieme e non creare confusione anzichè chiarezza nel consumatore sommerso dai bollini verdi. Ma di questo magari ne riparleremo.

Ognuna delle 100 relazioni e dei 65 poster presenti meriterebbe un suo spazio in questo Blog (e magari alcuni ce lo avranno) che del resto si chiama innovino.

Questa è l’innovazione che mi piace, quella vera, che intinge le sue radici nella scienza e che guarda ai produttori e alle loro esigenze.

E con questo avrete capito che è finita a parte buona e che sta per comicniare l’affondo. Infatti, avete capito bene.

Faccio qualche passo indietro e torno al Vinitaly. A guardare le rassegne stampa anche alla manifestazione veronese si parlava di innovazione. Ottimo no? Per la precisione a parlarne era Coldiretti che inneggiando all’innovazione enologica presentava nientepopodimenoche lo spumante con le pagliuzze d’oro e quello rifermentato e evoluto negli abissi marini, e poi il vino nella bottiglia in pietra lavica o il Prosecco prodotto con l’accompagnamento di un’orchestra in ogni sua fase. Il Comunicato stampa completo è qui http://www2.coldiretti.it/News/Pagine/237—7–Aprile-2013.aspx.

SpumanteOro

Il presidente commentava che “Si tratta di esempi di successo che puntano a valorizzare la distintività del prodotto e il legame con il territorio e la cultura locale per vincere la competizione sul mercato globale”. Ora sorvoliamo sugli esempi di successo (perchè chi non conosce il vino con le pagliuzze d’oro?) ma com’è che questi prodotti (a parte la pietra lavica vabbè) dovrebbero valorizzare il legame con il territorio? Si tratta forse di oro raccolto nei fiumi del bergamasco o vogliamo dire che il Mar Ligure è un territorio viticolo o ancora che è la musica di un’orchestra e non il rumore dei trattori il suono più tipico nelle campagne venete?

Ma come, proprio loro? Quelli che solo il chilometro zero, oh yeah?

E dove sono le prove scientifiche che consentono di fare affermazioni come “Le piccole stelle d’oro che fluttuano senza alterare profumo e gusto dello spumante (ci mancherebbe anche quello) non rappresentano soltanto un fatto estetico in quanto il prezioso metallo possiede virtù terapeutiche e proprietà antiossidanti.” C’è gente che per affermazioni del genere potrebbe utilizzare le catenine della Comunione come condimento (ok questa è un po’ grillesca perdonatemi).

Sulla base di quale verifica o esperienza si afferma che “la condizione climatica (degli abissi marini) è ottimale perchè il lieve movimento delle correnti culla e rigira delicatamente le bottiglie.” Oddio, in effetti è vero che le fermentazioni via mare fanno parte della storia della frode alimentare, nelle stive dal Sud Italia il mosto diventava vino prima di arrivare nei porti del Sud della Francia dove veniva imbottigliato, ma il fenomeno sarà lo stesso di quanto avviene nelle preziose bottiglie immerse nei fondali marini?

E cosa vuol dire che “Un abbinamento, quello tra il vino e la musica che fa sì che ogni sorso diventi musica per il palato per una degustazione non banale, ma curata e consapevole.” Consapevole di cosa? Il vino fatto con la musica è diverso, è più buono o no, da quello fatto in silenzio o nel più assoluto frastuono? E se le viti avessero ascoltato i Dire Straits come sarebbe venuto?

Ma per piacere!

E per concludere la chicca di disinformazione della serie vino e salute: “la linea di spumanti per chi ha problemi di linea, prodotta nel pieno rispetto del Metodo Classico senza zuccheri aggiunti.” E ad una cosa così uno ci potrebbe anche credere quindi chiariamo: 1 – l’aggiunta di zuccheri nella produzione degli spumanti è consentita e si chiama dosaggio, a seconda di quanti zuccheri restano nel vino lo spumante è brut, secco, dolce e così via. 2 – gli zuccheri aggiunti (saccarosio) dopo pochissimo e per effetto dell’acidità del vino si trasformano negli stessi zuccheri presenti naturalmente nell’uva e nel vino e cioè glucosio e fruttosio. 3 – di vini spumanti Metodo Classico senza zuccheri aggiunti ne esistono molti e si chiamano “non dosati” “pas dosé” o “nature”.  4 – se anche ci fossero zuccheri (aggiunti o no) non sono molti (meno di 12 g/l in un Brut) e sicuramente il potere calorico dell’alcol  che si consuma sarebbe maggiore.

Ma le bizzarrie di innovazione pseudo-scientifica nel mondo del vino non sono solo ad appannaggio di Coldiretti.

Qualcuno di voi conosce Erectus ? Erectus (e la sottile allusione NON è del tutto casuale) è il metodo di produzione viticola sviluppato da un simpatico produttore romagnolo che ritiene, sperimentazioni alla mano, che la naturale e più idonea posizione dei grappoli nella loro maturazione sia con le punte rivolte in su. Ci sarebbe da chiedersi come mai allora non ci siano state varietà o specie che darwinianamente parlando non si siano avvantaggiate di questo carattere e si siano evolute invece solo specie di Vitis con il grappolo irrimediabilmente “ammosciato” (ops).

Ora sia nel caso delle innovazioni presentate al Vinitaly (che però data la potenza di tiro di Coldiretti non prenderei ad esempio) sia nel caso del simpatico inventore di Erectus (per il quale il nome ha fatto la sua parte), quando si tratta di cose bizzarre mascherate da innovazione la copertura mediatica è sempre assolutamente invidiabile.

Ma il povero consumatore (che probabilmente ha saputo di Enoforum solo se è aretino o di poco più in là) cosa deve pensare del mondo del vino e della sua capacità di innovazione? Che siamo un mondo mediamente tradizionalista che di tanto in tanto, quando ha tempo, voglia e denaro, si inventa qualcosa di bislacco per stupire e vendere di più?

Attenzione questa non è innovazione e men che meno scienza! Gli scienziati nel mondo del vino esistono davvero, sono persone serie, molti di loro sono anche simpatici ma nessuno porta un cappello con le punte e i sonagli.

Ora in una delle lezioni più interessanti del mio Master in Giornalismo Scientifico, intitolata “ È la stampa, bellezza” si spiegavano le regole della notiziabilità ma la bizzarria non era una di queste. Altrimenti alla mia domanda “perchè i giornali parlano di Erectus e non di micro-ossigenazione o di ibridi resistenti?” mi sarei data la giusta risposta “È la stampa, bellezza” (che mi averebbe anche gratificato personalmente) e sarei stata contenta così e invece no. Di chi è la colpa allora?

Qualche idea ce l’avrei. La colpa è dei giornalisti che (con le attenuanti di un lavoro frettoloso e spesso mal pagato) non vanno più in la del comunicato stampa e lasciano che l’informazione sia fatta da chi lo emana, tanto più se dotato di forza politica e comunicativa come nel caso di Coldiretti, senza approfondire, commentare e criticare come dovrebbero.

La colpa è degli scienziati che se hanno imparato a parlare con i produttori come è successo ad Enoforum, devono imparare a parlare anche con i consumatori e con i giornalisti, per far sapere che loro esistono e lavorano e fanno cose interessantissime!! Mi sono trovata io stessa a cercare materiale magari italiano (perchè la prossimità quella sì che è una regola della notiziabilità) su un argomento per poi, ad articolo consegnato trovarmi ad Enoforum di fronte al ricercatore che aveva fatto quello che mi ci voleva una settimana prima, bello e sorridente accanto al suo poster. Quindi faccio questo appello a tutti gli scienziati italiani: se avete fatto qualcosa di interessante e avete da qualche parte quel biglietto da visita di quel giornalista o il numero di telefono di quel comunicatore, usatelo! Male che vada vi dirà che non è notiziabile (È la stampa, bellezza).

E magari se alla prossima edizione anche una manifestazione per addetti ai lavori come Enoforum riuscisse ad abbattere il muro della notiziabilità e a far parlare più di se e di scienza della vite e del vino non sarebbe mica male..

5 risposte a “Innovazione e vino, Enoforum 2013 e altre notizie.”

  1. Cara la mia Alessandra,
    non posso che darti ragione su ogni singolo concetto qui espresso, ma mi corre l’obbligo di… difendere la categoria. Da giornalista che ormai da un bel tocco segue (nel senso di: riempie di contenuti, assembla e cerca di rendere leggibili e interessanti, con risultati alterni, come tutti…) riviste di agricoltura e viticoltura/enologia, posso solo dirti che il nostro ruolo è infame. Perché coloro che avrebbero cose interessanti da raccontare non hanno mai il tempo per farlo o se lo trovano lo fanno male. Cioè: raccontano le cose a se stessi, se la cantano e se la suonano. Non preoccupandosi minimamente di rendere ciò che comunicano non dico piacevole (sarebbe chiedere troppo) ma almeno fruibile da coloro che leggono. Per cui? Chi è in posizione analoga alla mia ricorre ai “giornalisti” o più semplicemente ai “collaboratori”. I quali sovente sono tuttologi, magari anche bravi di penna, ma non sempre in grado di cogliere svarioni tecnici sparati (perché accade anche questo) dagli intervistati (cioè i ricercatori). Morale: comunicare bene la ricerca applicata non è pane per tutti i denti e spesso tocca a noi poveri “assemblatori” correggere il tiro. Con sempre meno tempo a disposizione per “pensare” (e quindi programmare i numeri futuri delle nostre riviste), schiacciati come siamo dal “fare”. Non da ultimo, stritolati spesso dalla necessità di far quadrare le richieste degli editori (che in fin dei conti ci danno da mangiare), quelle degli autori degli articoli (senza i quali non potremmo fare le riviste o i siti) e quelle degli inserzionisti (che danno da mangiare all’editore). Non voglio essere disfattista, tutto il contrario. Da inguaribile idealista penso sempre che la bandiera della buona stampa tecnica (cartacea o web che sia) vada tenuta tenuta alta. Ma capita, eccome se capita, di dover pubblicare anche notizie o articoli che non brillano per robustezza, coerenza e scientificità, perché magari c’è un buco da riempire e lo stampatore ti sta col fiato sul collo… Banale, ma vero. Detto ciò, in tutta onestà ti considero facente parte della mia ristretta rosa di collaboratori eccellenti, dai quali ricevo sempre buone idee e ottimi articoli. Forza e coraggio, verranno tempi migliori, anche per l’editoria tecnica.

    1. Carissima Costanza, quando parlavo dei giornalisti non mi riferivo a quelli della stampa tecnica. Personalmente penso che, fatti alcuni distinguo, la stampa tecnica per l’agricoltura sia di buon livello. In realtà le riviste tecniche rispondono un po’ meno alle esisgenze dell’attualità e alle regole del giornalismo (quelle a cui si risponde “è la stampa bellezza per intenderci) per cui ci si può permettere di essere anche un po’ più didascalici e (almeno per quanto mi riguarda) di cercare di svolgere una funzione anche didattica oltre che informativa. In fondo chi legge le riviste tecniche sono addetti ai lavori che parlano un linguaggio simile al nostro e che leggono per tenersi aggiornati sul proprio lavoro.
      Ora attingere a fonti affidabili credo sia una regola comune per tutti, stampa tecnica e non, ma saper raccontare scienza e innovazione invece non è da tutti e sarebbe lavoro dei comunicatori che ovviamente non possono essere specialisti in qualunque cosa ma che devono saper anche filtrare e selezionare gli esperti più adatti ai quali chiedere consiglio. Dopo la lezione di “è la stampa bellezza” un’altra regola che ho imparato (con mio disappunto) è che nel giornalismo scientifico uno specialista non dovrebbe mai scrivere della sua disciplina perchè è estremamente difficile abbandonare il linguaggio specialistico ad uso degli altri. La cosa come la spiegavano a me significherebbe che io non dovrei scrivere di vino ma per esempio di astronomia o di geofisica e in questa forma trova la mia opposizione più assoluta. Tuttavia vi trovo riscontro quando scrivi che gli specialisti difficilmente riescono a scrivere bene per una rivista divulgativa. I giornalisti non devono secondo me essere dei tuttologi, però devono essere coloro che raccontano le storie di alcuni (gli scienziati) ad altri (i lettori). In modo preciso, comprensibile e sì, possibilmente piacevole.
      Ma ti ripeto anche se con difficoltà che nel tempo stanno aumentando a quanto capisco e a quanto scrivi, la stampa tecnica secondo me riesce abbastanza bene in questo intento (non ho mai trovato un tecnico che dice che non legge la tale rivista perchè non serve a niente o perchè è noiosa o perchè non ci capisce niente)

      Il problema veramente grosso è il passo successivo, che pochissimi fanno, cioè quello di parlare al pubblico (cioè quello composto da tutti quelli che il vino lo bevono e non lo fanno) in modo corretto di un mondo che avanza nelle sue conoscenze, fa e usa innovazione e tecnologia e che non lo fa di nascosto perchè ai soloni della stampa piace vedere solo giovinette che pigiano l’uva con i piedi e riempirsi la bocca di paroloni spogliati del loro significato profondamente scientifico come terroir.

      e continuo rispondendo a Giuliano.

      Qui si parla di informazione, roba grossa!!

  2. Mi chiedo come, prima di ora, non seguissi il tuo blog.
    E’ sempre lo stesso problema, la comunicazione e la divulgazione delle cose importanti.

    Spesso sfondano di più le invenzioni giornalistiche o le trovate senza capo ne coda leggi Erectus.

  3. Ciao, Ale,
    innanzittutto grazie mille per i pubblici elogi, che, inutile negarlo, fanno sempre piacere: caffè pagato anche a te (corretto, ça va sans dire…).

    Hai ragione, Enoforum sfonda poco (per non dire nulla) al di fuori della stampa di settore, e anche lì non è che la copertura mediatica sia poi eccelsa.
    Sicuramente la comunicazione è un aspetto su cui dobbiamo ancora migliorare: sia verso i potenziali partecipanti, ma soprattutto verso l’esterno.

    Fermo restando ciò, la domanda che mi pongo in tempo reale è fino a che punto dobbiamo/è utile aprirci? Probabilmente una diretta twitter o un live blogging prossimi venturi sarebbero auspicabili, magari anche un servizio a “linea verde” o chi per essa, ma sinceramente tremo al pensiero di situazioni come una trasmissione di Decanter direttamente dai padiglioni di Arezzo Fiere…

    parliamone alla prima occasione, che magari ci vengono un po’ di idee utili

    salumi & caci

    g

    1. Giuliano caffè accettato (la correzione no grazie, magari un cornetto ok?).
      Tu affronti due aspetti diversi. Il primo è quello (del quale abbiamo già parlato al volo e che volentieri riaffronterei davanti al famoso caffè) dell’uso degli strumenti di comunicazione Social, che è indipendente dal target di lettori al quale ti rivolgi.
      Anzi aggiungo che potrebbe aiutare a raggiungere non tanto “la gente comune” ma i comunicatori che poi parlano di vino al pubblico.
      Il secondo aspetto che tocchi è un tasto dolente: quanto aprirsi? La mia reazione immediata dopo avere letto il tuo post è stato di scriverti che io invece sogno la diretta di Decanter da Enoforum 2015, poi però ieri (in autostrada) ci ho pensato un po’, alla fine ho sentito Decanter e ho deciso che forse bisogna andare per gradi. Perchè la questione che tu poni è più o meno il motivo per cui ho aperto questo blog: vorrei che il pubblico, ma forse solo un determinato pubblico, più interessato alla scienza, avesse un’immagine chiara del nostro settore e del ruolo che ha in esso l’innovazione.
      E la domanda che mi sono fatta è stata, ma io voglio parlare di scienza attraverso il vino o di vino attraverso la scienza? (e qui mi risponderai che la trasmissione più adatta a me è quella di Gigi Marzullo).
      Tornando a noi forse Decanter o il Gastronauta non sono le trasmissioni più adatte per il momento ma perchè allora non rivolgersi a quel pubblico che già mastica di scienza? Penso al pubblico di Moebius su Radio24 o ai lettori di le Scienze. E c’è almeno un comunicatore tra quelli che parlano di vino che sia in grado di farlo?
      Non è impossibile, a dicembre su Nature (avete capito bene, su Nature, l’Olimpo delle riviste scientifiche) è uscito un articolo di Jamie Goode, un giornalista del vino/degustatore inglese. E’ vero il mondo dell’informazione anglosassone è millantanni avanti a noi e forse è meglio così perchè prima che questo succeda sarà il caso che crescano dei giornalisti del vino italiani più adatti. Ma perchè non cominciare sfruttando un’occasione (notiziabile) come Enoforum?

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