Sono andata a Vinix Unplugged Unconference a parlare di Innovino.it

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21 giugno Vinx Unplugged Unconference, Genova.

Vinix e la Unplugged Uncoference per me erano un ambiente nuovo. Io faccio parte delle retrovie, di quella comunità che sta alle spalle dei produttori, quella degli scienziati e di coloro che ai produttori forniscono conoscenza e innovazione.
E se un comunicatore del vino, il giornalista che parla di vino racconta al pubblico dei consumatori i vini e i loro produttori, io nella mia professione racconto ai produttori gli scienziati e la loro innovazione.
Per questo per me il 21 giugno a Genova è stato quello che per un virus rappresenta il salto di specie. Lo stesso che sto tentando di fare con questo blog, fare il salto di specie e andare a parlare al pubblico della scienza del vino e dell’innovazione (e a volte anche di sostituirmi a coloro che raccontano i vini, parlando di produttori che innovano).

Perchè io resto convinta che non solo il vino è un modo meravilgioso con il quale comunicare la scienza ma anche che la scienza possa essere un veicolo anche per comunicare il vino: la scienza è sexy, insegnano ai corsi di giornalismo scientifico, sta tutto in come la si racconta. Se ha trovato spazio il Bosone di Higgs e per qualche tempo se ne è parlato al bar, allora sarà possibile anche parlare di microbioma della vite o di lieviti non Saccharomyces, che diamine! E tutte le volte che mi sento in difficoltà nel trasferire argomenti un po’ ostici al pubblico (anche a quello dei tecnici) penso ai colleghi del Cern e mi consolo.

 A #VUU ho spiegato cosa faccio sulla stampa tecnica quando parlo dei produttori che innovano e con gli scienziati che fanno cose fighe per la vite e il vino, cose che potrebbero interessare anche gli appassionati del vino. Cose che avrei voluto fare anche qui, nel mio progetto web, dove però ho trovato una community un po’ diversa, dove tanto per dirne una mi sono accorta subito di essere dalla parte sbagliata, quella dei cattivi. Perchè sul web il mondo si sa, è diviso in buoni e cattivi.
imagesNo problem, anche i cattivi hanno il loro fascino. E poi se le cose si fossero messe male potevo sempre citare Jessica Rabbit: “Io non sono cattiva, sono gli altri che mi disegnano così”.

Però stare dalla parte dei cattivi e lasciare che la scienza e la mia collezione di scienziati venisse così bistrattata non mi andava molto, anche perchè:
1-SI PARLA non di quello che si fa (o che fanno i produttori che si ammirano) ma di quello che NON SI FA fanno e che si pensa che facciano quelli che non si conoscono – i CATTIVI:
2 -I cattivi si disegnano più cattivi di quello che sono per risultare più buoni et voilà ecco a voi il Complotto!!
3 -I cattivi sono cattivi e quindi su di loro, sul loro lavoro e la loro professione ci si può permettere di dare giudizi morali
4-Si confonde il lecito e il tecnicamente giustificato con l’illecito, l’illegale e il truffaldino
il risultato è la sfiducia del consumatore nei confronti del vino e se c’è una cosa sulla quale non si scherza questa è la sicurezza alimentare.

E così www.innovino.it dal progetto di divulgazione scientifica che voleva essere si è trovato a fare il debunker, il ghost buster delle bufale che circolano in rete sul vino e sull’agricoltura.

Ora sarà l’età ma non so più se mi piace fare l’antipatica, la cattiva o che.
Ho imparato che i complottisti in cerca di clic cercano la rissa e non mi presto (anche perchè il tempo è denaro e non so loro ma il tempo che impiego a dare visibilità e informazione corretta ai loro blog lo posso impiegare meglio per me).
E poi diciamocelo, il modo per raggiungere il pubblico quello vero (non la community ristretta di chi ne parla) in buona parte dobbiamo trovarlo ancora: la scienza potrebbe essere un veicolo, perchè sbatterla a priori sul banco degli imputati?
E soprattutto visto che siamo tutti parte dello stesso circo, Please Relax!!

Di questo ero andata a parlare a #VUU anche perché cercavo una risposta: che cosa devo fare di questo blog? La risposta è semplice lo so, ed è “scriverci più frequentemente che ogni tre o quattro mesi”. Ma risolto questo nodo che cosa ci faccio, parlo di scienza, racconto barzellette, rompo agli altri blogger e faccio debunking e fact checking, comincio ad assaggiare vini e sparo descrittori a non finire? Ma di domande e mani alzate non ce ne sono state (nemmeno pomodori e uova marce e questo già sul momento l’ho ritenuto un buon risultato), forse ho tentato il salto di specie ma non ci sono riuscita. Quella al link che segue è la mia relazione in Power Point che è stata sviluppata con tanti omini Lego perché in quel momento volevo fare la simpatica. Qualcuno alzi la mano per essere contaminato da questo povero virus please.

Il vigneto da Vinci: vino, scienza e Scienza.

Il Vigneto Da Vinci - Giovanni Negri - Ed. Piemme.
Il Vigneto Da Vinci – Giovanni Negri – Ed. Piemme.

Se c’è una cosa che mi piacerebbe fare è scrivere un romanzo. Una storia dove mettere quello di cui mi piace parlare: il vino, l’agricoltura e la scienza. Nel modo in cui preferisco fare comunicazione e informazione, un modo leggero, magari anche divertente, per dare al lettore uno spunto di riflessione sì, ma soprattutto dei momenti piacevoli.

All’estero, in Francia e negli USA di storie, romanzi e film, sul mondo del vino ne hanno scritti tanti, più o meno riusciti, più o meno retorici. Qui in Italia ci prendiamo così sul serio che difficilmente siamo riusciti a fare qualcosa di buono.

Così un giorno di un mesetto fa incappo in un titolo di Winenews che confesso mi dà qualche preoccupazione “La scomparsa del professor Attilio Scienza a pochi giorni da Expo…” e mi impone di andare ad aprire il link, e così scopro che qualcuno, Giovanni Negri, un libro sul mondo del vino e della scienza lo ha già scritto

Sì proprio QUEL Giovanni Negri, non è un caso di omonimia, l’ex segretario del Partito Radicale ed Eurodeputato, che stanco (come dargli torto?) della politica si è dedicato a produrre Barolo e a scrivere romanzi. Chapeu, se mi muovo se non altro arriverò seconda (e non parlo di produrre Barolo).

E non solo, ma ci ha messo dentro proprio le cose delle quali mi piace di più parlare, compresa la genomica, gli OGM e i bio-talebani.

E ancora non solo ma lo ha fatto mettendoci dentro personaggi reali di un certo rilievo per il nostro mondo come Attilio Scienza, se questo non è prendersi un po’ meno sul serio di quanto facciamo sempre! Già me lo immagino l’Attilione nazionale che ride di gusto di fronte alla prospettiva di diventare il personaggio di un poliziesco.

E allora andava letto. Assolutamente.

E allora ecco la mia recensione (voto 8,5).

A circa 20 giorni dall’inaugurazione di Expo2015 Attilio Scienza scompare misteriosamente uscendo dal suo studio in Via Celoria. Nessuno sa se sia vivo o morto, se sia stato rapito (e a quale scopo) o peggio.

Oddio nessuno, pur immaginando che il professore non sia un tipo superstizioso, devo dire che io una qualche idea ce l’avevo.

La notizia ha una grande eco mediatica e internazionale, soprattutto per il fatto che al professore è stato affidato il discorso di apertura di Expo e le indagini vengono affidate al Commissario Cosulich, che a quanto pare ha già risolto casi analoghi in un altra storia di Negri.

Forse questa è la parte meno realistica, visto lo scarso ruolo che gli organizzatori di Expo stanno riservando al mondo della scienza. Ma del resto è una storia, chi scrive ha diritto di vedere il mondo come lo vorrebbe che è anche come lo vorrei io (Expo inaugurato da uno scienziato che fa Scienza di cognome!! Azz!).

Bianconiglio_fLe figure che ruotano intorno al mondo della viticoltura, dell’agricoltura e dell’Università ci sono tutte e tutte possono avere un ruolo nel rapimento di Scienza, l’operazione Bianconiglio come sarà nominata in seguito riferendosi ai baffi del professore.

Ci sono i ricercatori che cercano di guadagnarsi un ruolo per vie diverse da quelle istituzionali, o quelli il cui unico scopo è la carriera accademica e il prestigio di fronte alle istituzioni. C’è il guru dei movimenti ambientalisti e no OGM circondato da fanatici al suo servizio. C’è la produttrice che pende dalle scoperte dello scienziato per farsi un po’ di pubblicità.

E poi c’è Leonardo Da Vinci e la storia del vigneto regalatogli a Milano da Ludovico il Moro in cambio del Cenacolo, e la descrizione di tutto quel filone di ricerca estremamente attuale che dalla collaborazione dell’archeologia con la genetica sta portando alla luce in molte parti del mondo (e dell’Italia in modo particolare), le origini della viticoltura e degli attuali vitigni.

Una ricerca reale quella della vigna di Leonardo svolta da Scienza in collaborazione con la genetista Serena Imazio e Luca Maroni (è questo il motivo della sua presenza nel libro? Perchè se posso fare una critica sennò, ai fini della storia, LM che c’azzecca??).

Tutto descritto in modo corretto e senza prendere le parti di nessuno, dalle strumentalizzazioni del Biomov ai baffoni bianchi di Scienza. Da questo punto di vista molto meglio di Dan Brown.

Poi non so se a me sia piaciuto anche per il fatto di conoscere il protagonista principale o di far parte di questo mondo o per le mie aspirazioni di scrittrice scientifico-enoica.  Ditemi voi (dopo averlo letto, per sentito dire non vale).

Innovazione e vino, Enoforum 2013 e altre notizie.

pensiero positivo

Ho deciso di essere meno negativa. Quindi quando dovrò dare o commentare una notizia buona e una cattiva comincerò d’ora in poi sempre da quella buona, per chiudere con quella cattiva e riservare solo a chi arriva fino in fondo tutto il mio sarcasmo, il mio cinismo e i pH bassissimi ai quali riesco talvolta ad arrivare. Ma negli attacchi solo cose da elogiare!

La settimana scorsa si è svolto a Arezzo un Congresso di tecnica e scienza della vigna e del vino molto speciale, si chiama Enoforum, ed è organizzato da Sive (Società Italiana di Viticoltura ed Enologia) e da Vinidea s.rl.

Enoforum non è un Convegno scientifico normale (di quelli ce ne sono diversi) perchè gli scienziati non vanno a presentare i loro lavori di ricerca ad altri scienziati e poi non ci sono solo gli scienziati che lavorano nelle Università e negli Istituti di Ricerca, ma anche quelli delle aziende, quelli che scrivono R&D sui biglietti da visita, e dei quali ho fatto parte anch’io, oppure ci sono gli scienziati dei Centri di Ricerca che lavorano con le aziende, e tutti parlano all’utilizzatore del prodotto delle loro ricerche e innovazioni: il produttore.

A Enoforum cioè si incontrano e si raccontano il mondo della ricerca, il mondo delle aziende fornitrici di prodotti e servizi e quello dei produttori di vino, tutti insieme a dimostrare che l’interazione tra ricerca e produzione esiste ed è possibile.

Non solo ma da alcuni anni gli organizzatori hanno istituito un premio (che quest’anno si è sdoppiato nel premio Nazionale e in quello Internazionale), intitolato a Giuseppe Versini, ricercatore trentino di fama internazionale scomparso qualche anno fa, nel quale sono i produttori che valutano i lavori degli scienziati sulla base del ritorno applicativo delle loro ricerche (naturalmente c’è anche un referee che ne giudica il valore scientifico).

Ad Enoforum negli anni gli scienziati hanno imparato a parlare il linguaggio della produzione e i tecnici a leggere nelle parole della scienza. Ad Enoforum sono nati contatti, conoscenze ed amicizie (e mi fermo qui perchè sarò anche una frequentarice storica di questa manifestazione ma di più non so).

Le prime edizioni (credo che la prima sia stata nel 1999) si svolgevano in un albergo a Pescara e le aziende di prodotti e servizi presentavano i risultati della loro ricerca in dei moduli autogestiti (assolutamente autogestiti perchè ci si portava anche il videoproiettore) nei quali però l’aspetto scientifico e tecnico dovevano rigorosamente prevalere su quello commerciale.

I moduli, che come adesso avvenivano in contemporanea, si ripetevano il giorno dopo (la cosa era piuttosto odiosa per i relatori ma molto comoda per chi non voleva perdersi nemmeno una relazione).

Poi Enoforum si è arricchito, sono arrivati i seminari dei relatori internazionali, la sessione poster e la partecipazione della ricerca pubblica nazionale e Internazionale con il Premio SIVE.

Quest’anno mi sono goduta Enforum da spettatore, senza l’ansia da prestazione del relatore. Le novità presentate ad Enoforum sono state tante e non riuscirò sicuramente ad esporle tutte qui. C’è la nuova proteina estratta dalla patata da usare come alternativa alle proteine animali allergeniche nella chiarifica dei vini. Ci sono le nuove tecnologie adatte alla produzione di vini senza solforosa, come il tappo sintetico prodotto in atmosfera protetta che limita l’accesso dell’ossigeno nella bottiglia, o il ceppo di lievito ottenuto con tecniche di miglioramento genetico per produrre meno solforosa. Ci sono le ricerche di soluzioni innovative più sostenibili in vigneto e in cantina, come gli ibridi resistenti alle malattie della vite che non necessitano di trattamenti con pesticidi e le tecniche “no residue” di sanificazione e igienizzazione della cantina con ozono.

E poi ci sono i nuovi mezzi di controllo come i nasi elettronici in grado di monitorare i processi di appassimento delle uve o le tecniche di analisi infrarosso applicate al lievito per rilevarne lo stato fisiologico, o i nuovi metodi di analisi sensoriale adatti anche a rilevare i gusti del consumatore.

Ci sono tutti i progetti sulla sostenibilità (Eco-Prowine, Tergeo, VIVA sono quelli presentati a Enoforum) destinati a creare una sensibilità misurabile e certificabile per produzioni più green e più sostenibili. E lo sforzo del Forum creato da Michele Manelli per farli dialogare tutti insieme e non creare confusione anzichè chiarezza nel consumatore sommerso dai bollini verdi. Ma di questo magari ne riparleremo.

Ognuna delle 100 relazioni e dei 65 poster presenti meriterebbe un suo spazio in questo Blog (e magari alcuni ce lo avranno) che del resto si chiama innovino.

Questa è l’innovazione che mi piace, quella vera, che intinge le sue radici nella scienza e che guarda ai produttori e alle loro esigenze.

E con questo avrete capito che è finita a parte buona e che sta per comicniare l’affondo. Infatti, avete capito bene.

Faccio qualche passo indietro e torno al Vinitaly. A guardare le rassegne stampa anche alla manifestazione veronese si parlava di innovazione. Ottimo no? Per la precisione a parlarne era Coldiretti che inneggiando all’innovazione enologica presentava nientepopodimenoche lo spumante con le pagliuzze d’oro e quello rifermentato e evoluto negli abissi marini, e poi il vino nella bottiglia in pietra lavica o il Prosecco prodotto con l’accompagnamento di un’orchestra in ogni sua fase. Il Comunicato stampa completo è qui http://www2.coldiretti.it/News/Pagine/237—7–Aprile-2013.aspx.

SpumanteOro

Il presidente commentava che “Si tratta di esempi di successo che puntano a valorizzare la distintività del prodotto e il legame con il territorio e la cultura locale per vincere la competizione sul mercato globale”. Ora sorvoliamo sugli esempi di successo (perchè chi non conosce il vino con le pagliuzze d’oro?) ma com’è che questi prodotti (a parte la pietra lavica vabbè) dovrebbero valorizzare il legame con il territorio? Si tratta forse di oro raccolto nei fiumi del bergamasco o vogliamo dire che il Mar Ligure è un territorio viticolo o ancora che è la musica di un’orchestra e non il rumore dei trattori il suono più tipico nelle campagne venete?

Ma come, proprio loro? Quelli che solo il chilometro zero, oh yeah?

E dove sono le prove scientifiche che consentono di fare affermazioni come “Le piccole stelle d’oro che fluttuano senza alterare profumo e gusto dello spumante (ci mancherebbe anche quello) non rappresentano soltanto un fatto estetico in quanto il prezioso metallo possiede virtù terapeutiche e proprietà antiossidanti.” C’è gente che per affermazioni del genere potrebbe utilizzare le catenine della Comunione come condimento (ok questa è un po’ grillesca perdonatemi).

Sulla base di quale verifica o esperienza si afferma che “la condizione climatica (degli abissi marini) è ottimale perchè il lieve movimento delle correnti culla e rigira delicatamente le bottiglie.” Oddio, in effetti è vero che le fermentazioni via mare fanno parte della storia della frode alimentare, nelle stive dal Sud Italia il mosto diventava vino prima di arrivare nei porti del Sud della Francia dove veniva imbottigliato, ma il fenomeno sarà lo stesso di quanto avviene nelle preziose bottiglie immerse nei fondali marini?

E cosa vuol dire che “Un abbinamento, quello tra il vino e la musica che fa sì che ogni sorso diventi musica per il palato per una degustazione non banale, ma curata e consapevole.” Consapevole di cosa? Il vino fatto con la musica è diverso, è più buono o no, da quello fatto in silenzio o nel più assoluto frastuono? E se le viti avessero ascoltato i Dire Straits come sarebbe venuto?

Ma per piacere!

E per concludere la chicca di disinformazione della serie vino e salute: “la linea di spumanti per chi ha problemi di linea, prodotta nel pieno rispetto del Metodo Classico senza zuccheri aggiunti.” E ad una cosa così uno ci potrebbe anche credere quindi chiariamo: 1 – l’aggiunta di zuccheri nella produzione degli spumanti è consentita e si chiama dosaggio, a seconda di quanti zuccheri restano nel vino lo spumante è brut, secco, dolce e così via. 2 – gli zuccheri aggiunti (saccarosio) dopo pochissimo e per effetto dell’acidità del vino si trasformano negli stessi zuccheri presenti naturalmente nell’uva e nel vino e cioè glucosio e fruttosio. 3 – di vini spumanti Metodo Classico senza zuccheri aggiunti ne esistono molti e si chiamano “non dosati” “pas dosé” o “nature”.  4 – se anche ci fossero zuccheri (aggiunti o no) non sono molti (meno di 12 g/l in un Brut) e sicuramente il potere calorico dell’alcol  che si consuma sarebbe maggiore.

Ma le bizzarrie di innovazione pseudo-scientifica nel mondo del vino non sono solo ad appannaggio di Coldiretti.

Qualcuno di voi conosce Erectus ? Erectus (e la sottile allusione NON è del tutto casuale) è il metodo di produzione viticola sviluppato da un simpatico produttore romagnolo che ritiene, sperimentazioni alla mano, che la naturale e più idonea posizione dei grappoli nella loro maturazione sia con le punte rivolte in su. Ci sarebbe da chiedersi come mai allora non ci siano state varietà o specie che darwinianamente parlando non si siano avvantaggiate di questo carattere e si siano evolute invece solo specie di Vitis con il grappolo irrimediabilmente “ammosciato” (ops).

Ora sia nel caso delle innovazioni presentate al Vinitaly (che però data la potenza di tiro di Coldiretti non prenderei ad esempio) sia nel caso del simpatico inventore di Erectus (per il quale il nome ha fatto la sua parte), quando si tratta di cose bizzarre mascherate da innovazione la copertura mediatica è sempre assolutamente invidiabile.

Ma il povero consumatore (che probabilmente ha saputo di Enoforum solo se è aretino o di poco più in là) cosa deve pensare del mondo del vino e della sua capacità di innovazione? Che siamo un mondo mediamente tradizionalista che di tanto in tanto, quando ha tempo, voglia e denaro, si inventa qualcosa di bislacco per stupire e vendere di più?

Attenzione questa non è innovazione e men che meno scienza! Gli scienziati nel mondo del vino esistono davvero, sono persone serie, molti di loro sono anche simpatici ma nessuno porta un cappello con le punte e i sonagli.

Ora in una delle lezioni più interessanti del mio Master in Giornalismo Scientifico, intitolata “ È la stampa, bellezza” si spiegavano le regole della notiziabilità ma la bizzarria non era una di queste. Altrimenti alla mia domanda “perchè i giornali parlano di Erectus e non di micro-ossigenazione o di ibridi resistenti?” mi sarei data la giusta risposta “È la stampa, bellezza” (che mi averebbe anche gratificato personalmente) e sarei stata contenta così e invece no. Di chi è la colpa allora?

Qualche idea ce l’avrei. La colpa è dei giornalisti che (con le attenuanti di un lavoro frettoloso e spesso mal pagato) non vanno più in la del comunicato stampa e lasciano che l’informazione sia fatta da chi lo emana, tanto più se dotato di forza politica e comunicativa come nel caso di Coldiretti, senza approfondire, commentare e criticare come dovrebbero.

La colpa è degli scienziati che se hanno imparato a parlare con i produttori come è successo ad Enoforum, devono imparare a parlare anche con i consumatori e con i giornalisti, per far sapere che loro esistono e lavorano e fanno cose interessantissime!! Mi sono trovata io stessa a cercare materiale magari italiano (perchè la prossimità quella sì che è una regola della notiziabilità) su un argomento per poi, ad articolo consegnato trovarmi ad Enoforum di fronte al ricercatore che aveva fatto quello che mi ci voleva una settimana prima, bello e sorridente accanto al suo poster. Quindi faccio questo appello a tutti gli scienziati italiani: se avete fatto qualcosa di interessante e avete da qualche parte quel biglietto da visita di quel giornalista o il numero di telefono di quel comunicatore, usatelo! Male che vada vi dirà che non è notiziabile (È la stampa, bellezza).

E magari se alla prossima edizione anche una manifestazione per addetti ai lavori come Enoforum riuscisse ad abbattere il muro della notiziabilità e a far parlare più di se e di scienza della vite e del vino non sarebbe mica male..

Naturali, artigianali, d’avanguardia, industriali o tecnologici, please relax!

Se siete appassionati di vino e bazzicate la rete vi sarete accorti che negli ultimi tempi il gioco preferito è diventato tessere le lodi dei vini naturali, artigianali o d’avangardia (sembra che i francesi che hanno un maggiore afflato artistico li chiamino così) contrapposti ai vini industriali o convenzionali o tecnologici, che sono la maggioranza, ma che a leggere in giro sembra che non piacciano più a nessuno.

Ecco vorrei anzitutto tranquillizzare chi guarda al settore vitivinicolo anche con l’ apprensione di produttore o di fornitore o di appassionato, i vini “industriali” (improvvisamente vengono chiamati così tutti i vini che non siano vini naturali anche se sono prodotti da un viticoltore con 5 ettari di vigna e tre vasche in acciaio) o “tecnologici”, sono quei vini che hanno fatto avanzare il nome del vino italiano di qualità nel mondo negli ultimi 30 anni e che (dati ISTAT) sono cresciuti sul mercato USA dell’8% nell’ultimo anno. In alcuni dei blog sui vini naturali ho visto definirli anche “vini morti” (perchè non conterrebbero lo spirito vitale credo) ma faccio presente che sono comunque morti che camminano bene, perchè danno lavoro a tantissime persone in Italia, forse le uniche che non rischiano la cassa-integrazione.

La seconda premessa è per dire che non avrei mai pensato su questo blog di entrare nella discussione vini naturali/vini industriali (posso chiamarli vini normali? Non perchè industriale non mi piaccia ma perchè realmente i vini italiani di qualità, industriali proprio non lo sono).

Non lo avrei mai pensato perchè alcuni aspetti tecnici e scientifici che mi troverò a difendere appartengono decisamente al passato, sono conoscenze acquisite da anni, altro che innovazione! È vero, a volte i risultati ottenuti dopo avere introdotto alcune innovazioni possono non piacere, oppure determinate tecnologie possono essere sostituite da altre più sostenibili e allora ben vengano, ma le conoscenze che hanno portato a svilupparle mica si possono cancellare! Qui si parla di storia della scienza, che comunque mi appassiona non meno dell’innovazione per cui ne parlo volentieri.

Faccio un esempio. I batteri acetici sono i principali responsabili della produzione di acido acetico che come tutti sappiamo determina uno scadimento qualitativo del vino. Questo però lo si sa da tempo, direi dai tempi di Pasteur, che tra gli innumerevoli meriti scientifici ha anche quello di essere il padre della microbiologia enologica. Negli anni migliorando la conoscenza dei batteri acetici e delle loro abitudini (per esempio si sa che amano l’aria, preferiscono i vini poco alcolici e sono molto suscettibili all’anidride solforosa) si sono anche trovate alcune soluzioni per ridurne la presenza nei vini e i rischi correlati. Ora il desiderio di ridurre l’uso di anidride solforosa è senz’altro notevole e lodevole ma non si può ignorare che i batteri acetici siano ancora lì con le loro belle abitudini. Quello che si sa di loro resta e deve aiutare a trovare soluzioni alternative per poter continuare ad avere vini di qualità con il plus della maggiore naturalità.

Ridurre l’intervento chimico nei vini non deve voler dire dimenticarsi di quanto si è già acquisito e lasciare che la natura faccia il suo corso. Se si vuole eliminare l’anidride solforosa un’alternativa andrà trovata (non necessariemnte un ausilio di tipo chimico per carità) e poi perchè si dovrebbe anche abbandonare la necessità di tenere pulita la cantina e di utilizzare materiali igienizzabili come l’acciaio? Se l’alternativa non c’è occorrerà ricercarla, sennò cosa ci stanno a fare le Università e gli istituti del CRA (Consiglio per le Ricerche in Agricoltura) ? Si può rinnegare l’uso della solforosa (perchè è tossica, perchè è estranea alla naturalità del vno, perchè uccide lo spirito vitale o perchè volete che sia così e basta) ma perchè voler ignorare anche il rischio legato ai batteri acetici e dovere accettare o peggio pretendere che il consumatore accetti un vino affetto dal difetto dello spunto acetico?

Non era mia intenzione entrare nella polemica, mi chiedo però se un consumatore abbia chiaro che cosa “l’avanguardia” stia proponendo e che cosa contesti ai vini “industriali/normali”. E quindi nei prossimi due post il primo dedicato all’anidride solforosa e alla possibilità di ridurla o eliminarla e il secondo dedicato all’uso (o al non uso) di lieviti selezionati, entrerò nei particolari tecnici. Intanto dichiaro aperta la discussione,  “but please relax”.

Un blog è quello che ci vuole

Un blog è quello che ci vuole. Per parlare di agricoltura e di enologia. Per raccontare quello che ci gira intorno. Per aprire una finestra su tutto quello che c’è di nuovo nel nostro mondo, su cosa fanno i colleghi delle Università e dei centri di Ricerca e le aziende più innovative.
Per raccontare l’agricoltura come è davvero. Per parlare delle conquiste della tecnologia e della scienza nella produzione degli alimenti  e sottolineare che nei “bei tempi antichi, quando tutto era più buono” le cose non andavano meglio.. anzi.
Da un pò di tempo me lo stavo chiedendo: scrivere sulle riviste tecniche va bene, un sito personale anche, ma come si può fare per tenere aperto il dialogo tra ricerca, innovazione e mondo produttivo e per scavare nel modo in cui i media parlano di tutto questo? Ecco, ci sono! Un blog è quello che ci vuole.

C’è una pezzo bellissimo su scienza e vino che spiega come il vino sia oggetto di cultura scientifica ma che poi, non dimentichiamolo, sia un piacere per chi lo beve. Un pezzo che aiuta a tenere i piedi per terra e a non prendersi troppo sul serio (chi si occupa di vino rischia di farlo). Non lo ha scritto un giornalista del vino e nemmeno uno scienziato del vino. Lo ha scritto Richard Feynman, premio Nobel per la Fisica del 1965. Ve lo regalo come lo ha regalato a me un amico fisico:

“Un giorno, un poeta disse: – L’intero Universo sta in un bicchiere di vino!
Non credo che sapremo mai cosa intendesse lui con ciò, perché i poeti non scrivono per essere capiti, però è vero che se guardi un bicchiere di vino abbastanza da vicino, vedrai l’intero Universo. Ecco le cose della fisica: le torsioni del liquido e i riflessi nel vetro, e con la nostra immaginazione vediamo gli atomi, e l’evaporazione che dipende dalle condizioni del tempo e dal vento. Il vetro è un distillato della roccia terrestre, e nella sua composizione sveliamo il segreto dell’età dell’Universo, e l’evoluzione delle stelle.
Quale strana schiera di componenti chimici ci sono nel vino? Come si sono formati? Ci sono fermenti, enzimi, sostrati e prodotti, e lì nel vino si fonda la grande generalizzazione: tutta la vita è fermentazione. Neppure puoi scoprire la chimica del vino senza svelare, come fece Pasteur, la causa di tante malattie.
Com’è intenso il colore del vino, che proietta la sua presenza nella coscienza di colui che lo osserva! E se le nostre piccole menti, per qualche modesta convenienza, dividono questo bicchiere di vino, in questo Universo, in diverse parti – fisica, chimica, biologia, geologia, astronomia, psicologia, eccetera – ricorda che la Natura non fa questo. Per cui rimettiamo tutto assieme per non scordarci infine per cosa è fatto, lasciamo che ci regali ancora un ultimo piacere, beviamolo in un sorso e scordiamoci di tutta questa storia!”