Si comincia con il biologico e con i pomodori (che non sono nemmeno di stagione)

Premetto: non sono contraria all’agricoltura biologica. Non lo sono perchè non è mica una gara, biologico Vs convenzionale, con la rapida rimonta del biodinamico. Non lo sono perchè sarebbe stupido schierarsi e perchè quando c’è motivo di cambiare sistema è bene che si cambi (e il motivo c’è).

Il mio problema (in tutto quello che faccio) però è la sindrome di San Tommaso o anche di Poirot o meglio ancora di Galileo: se non vedo non credo e quando vedo mi ci volgiono le prove e per prove io intendo sempre i dati, presi bene ed elaborati meglio. Non la correlazione tra i nidi di cicogna e le nascite o tra i contadini suicidi e la vendita di sementi.

Sono anche un po’ formale io, e do molto credito alla Scienza ufficiale, quella delle riviste peer e degli Impact Factor.

E allora plaudo alla ricerca scientifica che dà un senso agli sforzi, ai successi e agli insuccessi degli agricoltori biologici, come plaudo anche alla ricerca scientifica fatta da una multinazionale se i risultati mi sembrano interessanti. Scienza da una parte e scienza dall’altra (chi stabiisce che una sia seria e l’altra no?), posti di lavoro di qua e di là, interessi economici anche ( e perchè no?), ma di questo avremo modo di parlare in altre occasioni.

Quello che mi sconcerta è il modo con cui si parla di agricoltura biologica e spesso anche chi ne parla. Perchè diciamocelo, quante volte (raramente) i media danno voce agli scienziati e quante altre invece (sempre) ai produttori (o meglio alle loro associazioni di categoria)? Si chiede al macellaio se la carne è buona o al chirurgo se ha operato bene? Ok, è vero per un giornalista è molto più facile raggiungere l’ufficio stampa di Coldiretti che parlare con il professor Tal dei Tali (che tra l’altro lo guarda dall’alto in basso e parla in modo incomprensibile), ma questo non giustifica la disinformazione. E tra l’altro si sappia che la maggior parte dei Tal dei Tali sono ben contenti di parlare di quello che fanno e non guardano nemmeno troppo dall’alto in basso.

Questa volta sono anche le fonti a cui attingono le istituzioni che mi irritano. Vengo ai fatti.

Il CRA (Consiglio per la Ricerca in Agricoltura) è un ente formato da molti istituti sperimentali che svolgono ricerca e sperimentazione alle dirette dipendenze del Ministero dell’Agricoltura. Recentemente, quelli che si chiamavano Istituti Sperimentali per ..(l’Enologia, l’Orticoltura, la Ceralicoltura ecc ecc) sono stati riorganizzati per renderli più efficienti e per ottimizzarne l’uso delle risorse (alcuni sono stati chiusi, altri accorpati, ecc ecc, cose ormai all’ordine del giorno nella ricerca in Italia). Per il mio lavoro il CRA è una fonte autorevole.

Qualche giorno fa mi imbatto nella rassegna stampa del CRA in un articolo dal titolo Gli studi confermano che il cibo biologico fa vivere meglio e piu’ a lungo. Caspita, questa sì che è una notizia, se ne parla da anni in campo internazionale! Anni fa erano anche uscite un paio review autorevoli che analizzando i risultati di centinaia di articoli scientifici avevano avanzato dei dubbi sulla superiorità nutrizionale degli alimenti biologici rispetto a quelli ottenuti da agricoltura convenzionale. Quindi il CRA avrebbe ottenuto dei risultati a dir poco rivoluzionari. Ottimo!

Leggo meglio, non è il CRA che parla, si tratta di un articolo che riporta di un seminario (ma non c’è scritto nemmeno da chi sia stato organizzato) tenutosi a Roma dove sarebbero stati presentati i risultati di alcuni progetti d ricerca italiani sull’agricoltura biologica. Fonte: Fiori Gialli.

Fiori Gialli?? vado a vedere cos’è questa fonte citata nella rassegna stampa del nostro Ministero dell’Agricoltura e trovo: Fiorigialli: Ecospiritualweb, comunicazione e progetti, idee e prodotti per una nuova coscienza.

Mi viene quasi da piangere.

Però posso tirare un sospiro di sollievo perchè in effetti Fiori Gialli, ha in effetti riportato un articolo pubblicato sul Fatto Quotidiano il 6 dicembre scorso.

Il Fatto Quotidiano, lo stesso giornale che ospita il Blog di Dario Bressanini. Ma se ne sarà accorto Bressanini di questo articolo di Gianluca Mazzelli, esperto agroalimentare? Sì se ne è accorto perchè su Scienza in cucina, il blog di Le Scienze, ne stanno già parlando.

Cosa dice l’articolo del Fatto? Si comincia subito malissimo (cito) Che i prodotti biologici siano più buoni dei convenzionali è un fatto certo. Chi lo avrebbe accertato? Ci sono studi che hanno sottoposto tutti gli alimenti ottenuti con metodo biologico e convenzionale all’interno di un disegno sperimentale a un panel di assaggio addestrato e che hanno verificato la superiorità organolettica dei prodotti biologici? A me non risulta uno studio su così ampia scala, ma magari qualcuno lo ha fatto.

Attenzione, non parlo dei risultati dei progetti citati (Biopomnutri, Psnb-Cer, Elisolqua, Euvinbio), per quelli mi rivolgerò alle pubblicazioni scientifiche che in alcuni casi ancora non ci sono. Mi limito a quanto leggo in questo articolo, dove i riferimenti ai risultati sono pochissimi e alcune delle conclusioni e delle relazioni causa-effetto tra i diversi studi non sono evidentemente farina uscita dal sacco dei ricercatori.

Per esempio dubito che se tra i risultati del progetto sul pomodoro da industria Biopomnutri sia stato riscontrato nei prodotti ottenuti da agricoltura biologica un maggior contenuto in polifenoli e sostanze antiossidanti, la conclusione sia che i pomodori biologici fanno vivere più a lungo. A meno che non sia stato fatto anche uno studio clinico vasto e approfondito nel quale ad una popolazione di soggetti con diverse caratteristiche (uomini o topi che siano) siano stati somministrati, alla cieca e in modo sistematico per un periodo prolungato, pomodori biologici e pomodori ottenuti da agricoltura convenzionale, per verificare poi l’incidenza delle malattie cardiovascolari e l’aspettativa di vita.

E’ stato fatto? Se la risposta è no, eviterei tutti quei dunque, quindi, ovviamente ecc. ecc. Nella scienza non c’è niente di ovvio.

E cosa vuol dire che gli alimenti biologici (cito ancora) “pur non avvalendosi di fungicidi, sono meno esposti a contaminazioni fungine, per la maggiore attenzione prestata alle buone pratiche agronomiche”? Forse che gli agricoltori convenzionali sono dei cialtroni? Ma se stiamo parlando di risultati sperimentali e di ricerca, le pratiche agronomiche e la cura applicate in una comparazione saranno state le stesse, immagino, perchè in caso contrario avrei qualcosa da ridire sui metodi.

Sul fatto che siano le caratteristiche intrinseche dei prodotti biologici che permettono di utilizzare meno additivi come l’anidride solforosa posso rispondere per esperienza. Quella di abbassare il contenuto di solforosa ammesso nei vini biologici è una scelta di rispetto verso il consumatore fatta da chi ha legiferato sul vino biologico (e si poteva fare anche di più), non è la conseguenza della maggiore sanità delle uve biologiche. La possibilità di abbassare i livelli di solforosa nei vini rispetto al passato esiste per tutti i vini, biologici e non, grazie al miglioramento della tecnica enologica e delle condizioni igieniche delle cantine. Applicando tecniche corrette si possono fare vini con ridotto contenuto in solforosa, indipendentemente dal tipo di gestione agronomica dei vigneti (e cioè sia con uve biologiche che con uve convenzionali). E aggiungerei anche che per i difetti derivanti da uve in cattive condizioni sanitarie (perchè colpite da malattie o da marciumi) non c’è solforosa che tenga, biologico o non biologico.

Sorvolerei sulle pratiche tradizionali dell’agricoltura classica che sarebbero applicate dall’agricoltura biologica (mi viene in mente il mio professore di agronomia, che era un personaggio moolto classico, quasi d’altri tempi, ma direi davvero poco biologico).

L’aspetto nutrizionale come anche quello organolettico sono importantissimi e per questo devono essere affrontati e comunicati con serietà. Anzitutto, proprio perchè la varietà nutrizionale degli alimenti è un valore importante, non si può parlare di superiorità nutrizionale o addirittura effetti farmaceutici dei prodotti biologici in generale. Non si può perchè il valore nutrizionale di un pomodoro è diverso da quello di una bistecca e quindi ci saranno ricerche diverse che studiano i diversi effetti dei nutrienti attivi presenti nell’uno o nell’altro.

Nella scienza non si può generalizzare, mai. Se mi si dice che una cosa fa bene vorrei anche sapere a cosa e perchè.

Una conversione al biologico nel giro di un paper

Come è stato fatto da Manuela Giovannetti dell’Università di Pisa nello studio svolto in collaborazione con CNR Ibba e pubblicato qualche mese fa. Anche allora i titoli erano stati del tipo “Quanto fa bene il pomodoro biologico”  ma poi si leggevano informazioni scientifiche complete date da un buon comunicato stampa. Il pomodoro, si legge nel comunicato stampa del CNR, è considerato un cibo funzionale, il cui consumo, grazie al contenuto in sostanze biologicamente attive, come i flavonoidi e il licopene, svolge un azione benfica sull’organismo nella prevenzione di alcuni tumori. Questo vale per tutti i pomodori, ma quelli con un contenuto superiore in queste sostanze hanno proprietà nutraceutiche superiori. Poiché (e questo è l’oggetto dello studio) le simbiosi tra la pianta e la microflora del suolo (micorrizze) svolgono un ruolo positivo nella sintesi di questi composti benefici e poiché tali micro-organismi sono più presenti e attivi nei suoli sottoposti ai metodi di produzione biologici, nei pomodori biologici è maggiore il contenuto in sostanze biologicamente attive. Questo si capisce dal comuncato stampa.

Interessante no? Tanto interessante che mi sono andata a cercare l’articolo originale e me lo sono letto. Interessantissimo, ma manca qualcosa. Per la precisione manca il termine biologico (organic perchè da paper rispettabile l’articolo è in inglese). L’articolo parla di piante di pomodoro micorrizzate in grado di dare un maggior contenuto di sostanze biologicamente attive e pertanto dotate di maggiori proprietà nutraceutiche. E basta. E l’agricotura biologica? Non c’è. E com’è allora che nel comunicato stampa (e di conseguenza su tutta la stampa che ha riportato la notizia) i pomodori sono miracolosamente diventati biologici? Non si sa. Sarà perchè gli autori hanno svolto anche altre ricerche che dimostrano che i funghi micorriziali hanno maggiori probabilità di sopravvivere nei terreni biologici? Forse, è plausibile, però nell’articolo non c’è scritto. E allora? Sarà mica che il biologico fa notizia e le micorrizze da sole no? Ma no via (a pensar male si fa peccato, diceva Giulio Andreotti aggiungendo.. ma ci si azzecca quasi sempre).

Magari è solo che per aiutare il lettore si è preferito un termine più facile come biologico a quello troppo tecnico di micorrizza? Il fatto è che a questo punto e con tutta la confusione che si è fatta e si sta facendo, dubito che il consumatore sappia cosa significa veramente biologico.

E allora? I prodotti biologici fanno bene, fanno male o non hanno niente di diverso dagli altri prodotti? Cosa dobbiamo mangiare.

Sicuramente i prodotti biologici fanno bene ad un sistema più ampio rispetto a quello che è la salute del singolo individuo che li consuma, perchè per ottenerli si utilizzano una minore quantità di risorse e perchè hanno minori costi di ripristino dell’ambiente. Lo aveva dimostrato già tempo fa il professor Tiezzi, uno dei primi scienziati ambientalisti italiani. E di conseguenza anche la salute, non solo dei consumatori, ma anche quella dei lavoratori e dell’intero sistema ne possono trarre dei vantaggi. Ma non è detto che l’agricoltura biologica sia l’unica via percorribile per la sostenibilità in agricoltura.

Personalmente, da consumatore, lo confesso, scelgo più facilmente quello che mi piace mangiare e non credo di essere sola. Nella cultura mediterranea, l’atto del consumo alimentare non si riduce ad una scelta salutistica.

E per quanto riguarda gli aspetti organolettici dal punto di vista scientifico le cose sono se vogliamo ancora più complicate. Perchè sono solo gli studi che applicano i complessi metodi dell’ analisi sensoriale che possono dire se un prodotto è più dolce, salato, amaro, fruttato, floreale ecc ecc di un altro. Ma questi non dicono se un prodotto sia o no più buono di un altro. Per questo ci sono i test sul consumatore che devono anch’essi essere condotti in modo rigoroso e naturalmente alla cieca. Le ricerche di mercato, che dicono che il consumatore apprezza sempre di più i prodotti biologici non danno nessuna informazione sulla loro “bontà”, perchè nelle motivazioni di scelta ci sono fattori diversissimi dall’apprezzamento gustativo. C’è la sensibilità per l’ambiente, la diffidenza verso l’agricoltura convenzionale e anche (perchè no) il desiderio di scaricare nel carrello della spesa i propri “sensi di colpa” nei confronti dell’ambiente.

Un blog è quello che ci vuole

Un blog è quello che ci vuole. Per parlare di agricoltura e di enologia. Per raccontare quello che ci gira intorno. Per aprire una finestra su tutto quello che c’è di nuovo nel nostro mondo, su cosa fanno i colleghi delle Università e dei centri di Ricerca e le aziende più innovative.
Per raccontare l’agricoltura come è davvero. Per parlare delle conquiste della tecnologia e della scienza nella produzione degli alimenti  e sottolineare che nei “bei tempi antichi, quando tutto era più buono” le cose non andavano meglio.. anzi.
Da un pò di tempo me lo stavo chiedendo: scrivere sulle riviste tecniche va bene, un sito personale anche, ma come si può fare per tenere aperto il dialogo tra ricerca, innovazione e mondo produttivo e per scavare nel modo in cui i media parlano di tutto questo? Ecco, ci sono! Un blog è quello che ci vuole.

C’è una pezzo bellissimo su scienza e vino che spiega come il vino sia oggetto di cultura scientifica ma che poi, non dimentichiamolo, sia un piacere per chi lo beve. Un pezzo che aiuta a tenere i piedi per terra e a non prendersi troppo sul serio (chi si occupa di vino rischia di farlo). Non lo ha scritto un giornalista del vino e nemmeno uno scienziato del vino. Lo ha scritto Richard Feynman, premio Nobel per la Fisica del 1965. Ve lo regalo come lo ha regalato a me un amico fisico:

“Un giorno, un poeta disse: – L’intero Universo sta in un bicchiere di vino!
Non credo che sapremo mai cosa intendesse lui con ciò, perché i poeti non scrivono per essere capiti, però è vero che se guardi un bicchiere di vino abbastanza da vicino, vedrai l’intero Universo. Ecco le cose della fisica: le torsioni del liquido e i riflessi nel vetro, e con la nostra immaginazione vediamo gli atomi, e l’evaporazione che dipende dalle condizioni del tempo e dal vento. Il vetro è un distillato della roccia terrestre, e nella sua composizione sveliamo il segreto dell’età dell’Universo, e l’evoluzione delle stelle.
Quale strana schiera di componenti chimici ci sono nel vino? Come si sono formati? Ci sono fermenti, enzimi, sostrati e prodotti, e lì nel vino si fonda la grande generalizzazione: tutta la vita è fermentazione. Neppure puoi scoprire la chimica del vino senza svelare, come fece Pasteur, la causa di tante malattie.
Com’è intenso il colore del vino, che proietta la sua presenza nella coscienza di colui che lo osserva! E se le nostre piccole menti, per qualche modesta convenienza, dividono questo bicchiere di vino, in questo Universo, in diverse parti – fisica, chimica, biologia, geologia, astronomia, psicologia, eccetera – ricorda che la Natura non fa questo. Per cui rimettiamo tutto assieme per non scordarci infine per cosa è fatto, lasciamo che ci regali ancora un ultimo piacere, beviamolo in un sorso e scordiamoci di tutta questa storia!”